
Abdulateef Al-Mulhim, editorialista saudita, autore di
questo articolo
Qualche settimana fa molte persone nel mondo arabo hanno sentito parlare di
Joshua Teitelbaum, un israeliano che è senior fellow presso il Dayan Center for
Middle Eastern Studies nonché visiting professor presso il Center on Democracy
and the Rule of Law di Stanford. Per ironia della sorte, sono gli arabi che lo
hanno reso famoso. Teitelbaum infatti ha scritto un
libro sul Medio Oriente che inizialmente molti si sono rifiutati di tradurre in
arabo a causa della nazionalità dell’autore. Alla fine, comunque, pare che il
libro si stato tradotto. Ma la domanda che resta è: gli arabi conoscono davvero
Israele? Molto probabilmente la risposta è no. E la ragione è che noi non
leggiamo la loro letteratura, mentre la maggior parte degli studiosi e dei
politici israeliani leggono ciò che viene scritto nel mondo arabo. Gli arabi non
sono famosi come forti lettori, figuriamoci come lettori o traduttori di
letteratura israeliana. È almeno dal 1948 che viene considerato sconveniente
leggere o tradurre un libro scritto da un autore israeliano, che potrebbe però
aiutarci a capire Israele. Per inciso, è interessante notare come invece, in
caso di malattia, venga considerato perfettamente appropriato curarsi con una
terapia scoperta da uno scienziato israeliano.
Allora, che cosa è accaduto quel famoso 14 maggio 1948? Fu il giorno in cui
lo Stato di Israele comparve sulla mappa del mondo. Ma conosciamo il resto della
storia? No. Noi non conosciamo tutta la storia perché siamo soliti fare i conti
con gli eventi attraverso le lenti delle passioni. Il giorno dopo che era
scaduto il Mandato delle Nazioni Unite (15 maggio) scoppiò un lungo e sanguinoso
conflitto, e quando le acque si furono calmate gli arabi lo chiamarono Nakba,
“catastrofe”. Fu una sconfitta, ma gli arabi preferirono chiamarla catastrofe.
Molti palestinesi vennero sfollati dalla loro patria e venne loro promesso che
sarebbero tornati presto alle loro case. Benché siano passati più di sei
decenni, quella promessa deve ancora concretizzarsi. Intanto le migliaia di
palestinesi fuggiti dalle loro case si sono trasformate in milioni.

«E se invece quei palestinesi avessero accettato la
decisione Onu e deciso di vivere a fianco degli israeliani?». Nella foto: il
convoglio sanitario ebraico attaccato il 13 aprile 1948 sulla strada per il
Monte Scopus, a Gerusalemme (78 morti fra medici, infermieri, studenti e
pazienti)
Ora, la domanda è: e se invece quei palestinesi avessero accettato la
decisione Onu e deciso di vivere a fianco degli israeliani? Chiedo cortesemente
ai lettori di notare che sto solo ponendo una domanda. Dunque, il destino dei
palestinesi sarebbe stato lo stesso? Lo chiedo perché oggi veniamo a sapere dei
profughi palestinesi a cui non è permesso fuggire dalle atrocità della Siria per
cercare rifugio in Libano. Una doppia agonia.
Vi sono molti fatti che non erano chiari ai palestinesi, quel 15 maggio 1948.
Molti di loro non dovettero affatto abbandonare le proprie case. È stato detto
che fu il mufti (Amin el-Husseini) ad incoraggiarli a fuggire. E il mufti non
era una figura molto popolare in Occidente e in Unione Sovietica per via della
posizione che aveva assunto coi nazisti. E poi sì, è vero, molti palestinesi
vennero attaccati e uccisi, ma quelli erano giorni di caos e da tutte le parti
ci si combatteva aspramente. In quei giorni Israele non aveva ancora delle forze
armate completamente organizzate, tanto che vollero disarmare l’Irgun e quando
questi rifiutò, le forze israeliane attaccarono una delle sue navi. In altre
parole, c’era il caos, ma i palestinesi avrebbero potuto agire assai più
saggiamente.

«Ai palestinesi continuarono a promettere che sarebbero
tornati alle loro case». Tutta la pubblicistica revanscista palestinese
ripropone in modo martellante la rappresentazione grafica del rifiuto e della
cancellazione di Israele
Col passare del tempo ai palestinesi continuarono a promettere che sarebbero
tornati alle loro case. Ma dopo 66 anni, e molte guerre, e la perdita di vite
umane, il conflitto continua. Dal 15 maggio 1948 fino al 1967 i palestinesi e
tutte le nazioni arabe hanno insistito sul concetto: o tutta la terra o niente
pace. Nel frattempo i palestinesi venivano usati, maltrattati e imbrogliati dai
loro stessi capi. La sofferenza dei palestinesi è diventata una macchina per
fare soldi a vantaggio di alcune élite palestinesi. Molti paesi, arabi e non
arabi, hanno versato aiuti finanziari, ma il palestinese medio ha ricevuto poco
o nulla da quegli aiuti. Molti capi palestinesi che non metterebbero mai piede
in un campo profughi nei paesi vicini di Siria e Libano per vedere com’è lì il
tenore di vita, volano a migliaia di chilometri di distanza per soggiornare nei
migliori hotel delle capitali straniere.
Attualmente i negoziati di pace sono a un punto morto senza che si intraveda
la luce alla fine del tunnel. E se la situazione dei profughi palestinesi non si
risolve, non ci sarà alcuna soluzione per questo conflitto. Cerchiamo di essere
realisti e razionali. Come potrebbero, i palestinesi di Gaza e Cisgiordania,
ospitare i milioni di palestinesi dei campi profughi? E se anche si arrivasse a
una pace piena e venisse accettata la soluzione a due stati, come potremmo mai
trasferire milioni di profughi nelle città e nei villaggi dei loro nonni e
bisnonni?
Il conflitto israelo-palestinese si sarebbe potuto risolvere il 15 maggio
1948 accettando la decisione delle Nazioni Unite, oppure assorbendo nel mondo
arabo le migliaia di profughi palestinesi. In questo 15 maggio 2014 non siamo
semplicemente al punto di partenza, siamo lontani da esso. E infine, dico i
palestinesi: non illudetevi, nessuno è mai stato realmente sensibile alle vostre
sofferenze. Basta guardare a ciò che alcuni regimi del mondo arabo stanno
facendo alla loro propria popolazione: se non si preoccupano minimamente del
dolore della loro gente, perché mai dovrebbero avere a cuore il vostro dolore?
In passato i palestinesi hanno avuto migliori opportunità di pace, ma non hanno
mai voluto leggere i particolari e i moniti tra le righe.
(Da: ArabNews, 14.5.14)
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